Imprese e diritti umani: il caso delle aziende che vendono cellulari in Italia

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Il settore dell’elettronica è costellato di abusi dei diritti umani e dell'ambiente: ecco una breve sintesi dell'analisi realizzata dai ricercatori di Equa, la prima app in Italia sul consumo responsabile ideata e realizzata da Osservatorio Diritti

Quando si parla di imprese e diritti umani il caso della telefonia è “da manuale”: nel settore tecnologico, infatti, si aggrovigliano violazioni dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani in genere, devastazione dell’ambiente e mancanza di trasparenza come in pochi altri casi.

A questa conclusione era arrivato l’ultimo rapporto di Amnesty International sui diritti umani (leggi anche Diritti umani nel mondo: ipocrisia e violazioni nel rapporto di Amnesty), che dedicava ampio spazio al settore della tecnologia.

Una situazione che è ampiamente confermata dai ricercatori di Equa, l’applicazione sul consumo critico che sta sviluppando Osservatorio Diritti e che ha scelto di cominciare le proprie valutazioni proprio dai cellulari. Una mole corposa di analisi che, almeno in forma sintetica, abbiamo deciso di condividere in occasione della Giornata mondiale dei diritti umani del 10 dicembre, in cui, a distanza di 75 anni, si ricorda la proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti umani da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi del 1948.

Imprese e diritti umani: la filiera opaca dei cellulari

Data la complessità tecnologica necessaria per realizzare un cellulare, la più grande fetta del mercato degli smartphone è in mano a poche multinazionali, come Apple, Samsung e Hauwei. A questi nomi più conosciuti, negli ultimi anni si sta accostando una galassia di altri brand meno conosciuti, spesso di produzione cinese, sempre più popolari anche in Italia.

La nostra analisi ha constatato che molti di loro operano con preoccupante opacità. I casi più eclatanti sono quelli dei marchi Oppo, Redmi, OnePlus e Vivo, molto diffusi nel mercato italiano, dietro cui c’è il grande conglomerato cinese BBK Electronics.

Da una parte, l’azienda pubblica pochissime informazioni sul proprio operato, dall’altra i diversi  rapporti di sostenibilità forniti dalle aziende controllate differiscono molto tra loro e sono estremamente parziali, rendendo difficile valutare la condotta dell’azienda in materia di rispetto dei diritti umani, dei lavoratori e dell’impatto ambientale.

Così, mentre l’attenzione della stampa si concentra sulle multinazionali più conosciute, realtà più piccole agiscono senza che nessuno possa controllare con dati pubblici la presenza o meno di eventuali violazioni.

Relazioni pericolose: aziende operative nei regimi oppressivi

Secondo quanto denunciato da varie fonti, molti tra i più grandi produttori globali di telefonia mettono la tecnologia che producono al servizio di regimi oppressivi per azioni di sorveglianza e controllo. È il caso, per esempio, di Huawei (come denunciato, tra gli altri, da The China Project) e ZTE, i due produttori di telefoni vicini al Partito comunista cinese, che, stando a quanto denunciato, collaborano alle violazioni perpetrate ai danni della minoranza degli Uiguri in Xinjiang attraverso sistemi di controllo dei centri di detenzione, localizzazione degli oppositori politici e sorveglianza.

Inoltre, secondo quanto riporta l’autorevole Business and Human Rights Resource Centre, nel 2022 le tecnologie di sorveglianza di ZTE sono state vendute a diversi governi oppressivi dell’America latina senza alcuna trasparenza o controllo pubblico, erodendo i processi democratici e minando la privacy e la libertà d’espressione.

Abbiamo trovato riscontro anche di collaborazioni più indirette, ma comunque gravi. Per esempio, nel 2023 Alqst, una ong che opera in Arabia Saudita, ha denunciato il coinvolgimento di Samsung nella costruzione di Neom (scarica il PDF), la città futuristica che sorgerà sul Mar Rosso per volere del principe Mohammed bin Salman. Per realizzare questo progetto urbanistico, il regime saudita – denunciano gli attivisti – ha sistematicamente espropriato la terra abitata dalla tribù degli Huwaitat, con espulsioni forzate e persecuzioni.

Bisogna segnalare, inoltre, che, mentre alcune aziende si sono ritirate dalla Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, che ha segnato l’inizio della guerra, altre hanno aumentato gli investimenti e i profitti, come la cinese Xiaomi, che è diventata tra i primi brand di telefonia del paese, come dichiarato dalla Reuters.

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Sfruttamento e mancati diritti dei lavoratori

La maggioranza della aziende prevede misure insufficienti rispetto alla  tracciabilità della filiera, le politiche interne di controllo del rispetto dei rapporti umani e possibilità di denunciare violazioni.

Oltre che dall’analisi di Osservatorio Diritti, questo quadro preoccupante è illustrato anche dall’ultimo rapporto dell’organizzazione internazionale KnowTheChain (“Conosci la filiera”, qui il PDF).

Non sorprende quindi che poco controllo e trasparenza avvallino le violazioni dei diritti umani. Come dimostrato da uno studio del 2020 di Somo, The Good Electronics Network e Business, Human Rights Environment Research Group, nell’industria globale dell’elettronica i diritti dei lavoratori sono violati sistematicamente.

Milioni di lavoratori operano in condizioni precarie e povertà estrema, in contatto con sostanze tossiche e incidenti sul lavoro, subendo danni gravissimi alla salute.

Per esempio, nel 2023 un ex-dipendente di Samsung ha denunciato alla testata Rest of Wolrd che la società ha esposto per anni migliaia di dipendenti a sostanze chimiche altamente dannose e ha sversato rifiuti tossici illegalmente in uno dei suoi maggiori siti produttivi in Vietnam.

Numerosi studi del Centro Helena Kennedy per la giustizia internazionale dell’Università Sheffield Hallam nel Regno Unito mettono in luce le modalità attraverso cui la produzione di elettronica, pannelli fotovoltaici e auto elettriche (settori in cui operano molti produttori di smartphone) dipenda ancora largamente dal lavoro forzato della minoranza uigura in Cina.

Anche Apple non è immune da critiche sui diritti dei lavoratori. A gennaio 2023, il New York Times ha pubblicato un articolo in cui emerge come l’azienda abbia ostacolato i tentativi dei lavoratori di formare sindacati e discutere delle condizioni di lavoro.

Imprese multinazionali, diritti umani e ambiente: i minerali di conflitto

Un discorso a sé meritano i cosidetti “minerali di conflitto”. Con questo termine si intendono materie rare quali stagno, tungsteno, tantalio e oro, la cui estrazione viene spesso monopolizzata da gruppi armati e serve a finanziarne conflitti in aree ad alto rischio, come la Repubblica Democratica del Congo.

Un altro materiale la cui estrazione è ad altissimo rischio di violazioni di diritti umani è il cobalto, fondamentale per le batterie di tablet e veicoli elettrici. Circa il 75% del cobalto mondiale si trova in Repubblica Democratica del Congo e viene estratto in condizioni disumane, in cui è comune che uomini, donne e bambini scavino a mani nude e senza protezioni (il cobalto è altamente tossico).

Dall’analisi di Osservatorio Diritti per l’App Equa è emerso che solo un’esigua minoranza di chi vende telefoni cellulari in Italia pubblica la lista completa dei propri fornitori comprensiva anche delle certificazioni di non-coinvolgimento in conflitti armati.

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Camion in movimento in una miniera d’oro – Foto: via Pixabay

Aziende e diritti umani: quando il conto lo paga l’ambiente

Dal 2021 anche il diritto a un ambiente sicuro, pulito, sano e sostenibile è stato riconosciuto dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (leggi anche Diritti umani e ambiente: cosa prevede il diritto internazionale).

Spinte dalla comunità internazionale, alcune multinazionali hanno iniziato ad essere più trasparenti sulle loro emissioni  e hanno fissato dei target di riduzione in linea con gli accordi di Parigi, promettendo di raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050.

Non sempre, però, questi buoni intenti corrispondono a strategie mirate e chiare: è il caso per esempio di Samsung, le cui dichiarazioni hanno ricevuto il peggior punteggio per quanto riguarda trasparenza e integrità da parte del Corporate Climate Responsibility Monitor 2023 (Monitoraggio delle responsabilità aziendale in materia climatica) tra le 24 maggiori multinazionali globali prese in considerazione.

Altre aziende di grandi dimensioni non hanno fissato target di riduzione emissioni adeguate, adottando la strategia ufficiale del governo cinese che prevede un picco di emissioni prima del 2030 e il raggiungimento della “neutralità climatica”. Alcune addirittura continuano a investire apertamente nei combustibili fossili, come ZTE, coinvolta nella costruzione di una centrale elettrica a carbone in Cina la cui apertura è prevista nel 2024.

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Centrale elettrica – Foto: via Pixabay

Telefoni dalle molte vite

Infine, bisogna considerare la difficoltà di smaltimento dei rifiuti elettronici. Secondo un report delle Nazioni Unite del 2019, l’industria elettronica genera almeno 41 milioni di tonnellate di rifiuti ogni anno, di cui è riciclato solo circa il 16 per cento. Molti di essi si accumulano in discariche abusive nel Sud del mondo con effetti devastanti per l’ambiente e la salute.

A fronte di tutte queste problematiche, nell’App Equa mettiamo in risalto anche le buone pratiche, evidenziando gli sforzi di alcuni produttori di telefoni di aumentare la possibilità di riparare i loro prodotti per farli durare più a lungo e l’utilizzo di materiali riciclati (tra tutte le società, spicca Fairphone, un cellulare nato proprio con l’obiettivo di essere un cellulare “equo”, appunto). Anche in un settore controverso come quello degli smartphone, infatti, ci sono dei segnali positivi di cambiamento, che Equa permetterà di individuare.

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